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[Escape Books] Tre libri, tre fughe: quando gli Escaper andavano per mare.

All’inizio del mese scorso ho deciso che avrei voluto leggere qualcuno di quei libri che si dà per scontato tutti abbiano letto, che magari citiamo con naturalezza conoscendone trama e personaggi, e che invece a me mancavano.
Così ho iniziato con Robinson Crusoe di Daniel Defoe, sono passata a Il giro del mondo in 80 giorni e ho chiuso (per ora) con Ventimila leghe sotto i mari, entrambi di Jules Verne.
Un genere, quello del romanzo d’avventura, a me abbastanza sconosciuto. Eppure li ho letteralmente divorati tutti e tre, facendo spesso le ore piccole (come sempre le mie occhiaie ringraziano).
Il bello è che volevo staccare un po’ da tutti quei libri che avidamente leggo “per lavoro”, sul cambiamento, la passione, la motivazione e, ultimamente, la produttività.
Per poi scoprire che tutti e tre avevano qualcosa da dirmi su ognuno di questi temi. Il primo, soprattutto.

Robinson Crusoe ha inventato a mio avviso la tanto in voga “resilienza”: volete mettere 28 anni su di un’isola deserta rispetto alle sfide della nostra vita quotidiana?
Un uomo che nonostante avesse ricevuto tutti i possibili segnali dal destino che gli dicevano “statt a cas” si affida a una misteriosa forza che lo porta a continuare a viaggiare pur non avendo idea di cosa stesse veramente cercando. Che riconosce di aver colpa di “una folle e pervicace inclinazione a vagare per il mondo, in contrasto con i vantaggi che mi si prospettavano in chiari termini se avessi perseguito in modo semplice e onesto gli scopi e le attività che Natura e Provvidenza, concordi, volevano elargirmi, e se me ne fossi fatto un dovere”.
Un uomo che riflette sul destino e sul fatto che “tutti coloro che paragonano la loro situazione ad un’altra peggiore dovrebbero riflettere che la sorte può costringerli a fare il cambio, onde imparino per esperienza ad apprezzare la loro precedente felicità!”.
Che si rende conto che le scelte più importanti della vita spesso vengono fatte non per il nostro buon senso o i nostri interessi personali, ma per “un arcano impulso interiore, di cui ignoriamo l’origine e la provenienza”, che poi però ci fa capire che se avessimo preso la strada dettata dai “dettami della nostra saggezza, ci saremmo perduti”.
C’è poi tra le pagine del libro un costante messaggio legato al valore delle cose, e al fatto che “tutti i beni di questo mondo hanno valore solo se ci è dato di farne uso”. Pare banale, ma è il punto di partenza di un percorso di downshifting e di decrescita: perché accumulare se poi ho così tante cose da non avere neanche il tempo di usarle? Non è un caso che Robinson, lasciata l’isola, si renda conto di avere più preoccupazioni in una vita agiata di quante ne avesse quando doveva pensare “solo” alla sua sopravvivenza, laddove “aveva bisogno solo di ciò che possedeva e possedeva solo ciò di cui aveva bisogno”.
Ma soprattutto, che “tutta la nostra scontentezza per ciò che non abbiamo mi parve derivare dall’ingratitudine per ciò che abbiamo”.
È anche un libro sulle scelte, che racconta come spesso quelli che pensiamo siano i mali da scansare (un naufragio, da leggere come ogni possibile “perdita”) possano invece rivelarsi lo strumento e la via della nostra salvezza.

Mr Fogg de “Il giro del mondo in 80 giorni” invece è un fantastico esempio di tenacia, per non dire tigna: uno che nella vita ha ogni comodità, incluso il non aver bisogno di lavorare. Eppure decide di fare una folle scommessa, all’apparenza con altri ma in fondo con se stesso. Un piano osteggiato da tutti, una serie di imprevisti impossibili, e la sua proverbiale — di nuovo! — resilienza nell’accettare ogni cosa e nell’affrontare tutto con una calma e una fiducia da invidia. Tipo che mentre leggevo avevo l’ansia per il fatto che lui non ne avesse!
È anche un libro che insegna a mio avviso quanto sia potente circondarsi delle persone giuste, in questo caso il mirabolante cameriere tuttofare Passepartout, vera anima della storia e chiave di volta di tante situazioni all’apparenza disperate. Mi sono proprio divertita a leggerlo, e non mi capitava da tanto.

E, per finire, quello che da subito mi sono immaginata come un figo pazzesco.
Il Capitano Nemo di “Ventimila leghe sotto i mari” è un uomo che decide che basta, lui sulla terra non ci vuole più stare, e trascorre anni a costruire e poi realizzare il suo sogno. E che pur restando confinato per sempre dentro un sottomarino dà vita a una nuova idea di libertà da quelli che lui definisce “quegli insopportabili obblighi della Terra”. In questo libro ho trovato anche la più semplice e bella definizione del mare che io abbia mai letto, le parole che ho sempre cercato quando volevo esprimere cosa rappresenti per me:


“Il mare è tutto. È l’immenso deserto dove l’uomo non è mai solo, poiché la vita pulsa tutt’intorno a lui”.

Il mare è dopotutto l’elemento in comune dei tre libri. Che ho scelto per caso, o forse no. Perché non vorrei naufragare, attraversare burrasche o immergermi per sempre.
Ma navigare sempre, quello sì.

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